Verità e Satira

Niccolò Macchiavelli, Santi di Tito

È sempre stato difficile per me prendere Il Principe di Machiavelli come una guida per essere un dittatore, rendendo il suo nome sinonimo di ipocrisia, malevolenza, comportamento immorale in generale (482). L’articolo di Garrett Mattingly, ¨Prince¨: Political Science or Political Satire? di Machiavelli, pubblicato nel 1958, esplora proprio questo. Quanto era serio Machiavelli quando ha presentato l’argomento per benevolenza contro l’agire spietosa-mente? In tutta onestà, è molto serio su questo. Tuttavia il fatto più importante di Machiavelli è che lui è stato il primo ad affrontare i fattori realistici di un governo con successo, come ha ritenuto opportuno durante la sua epoca. La domanda che Mattingly pone è come una persona che ha esperienza diretta di governo, come Machiavelli, potrebbe scrivere un libro che evidenzi un modo così estremo di gestire un principato come il modo corretto? Come afferma Mattingly, non è mai stato inteso come una guida strategica, ma più che altro come satira politica.
Un punto cruciale sollevato da Mattingly è il modo in cui Il Prince come opera riesce a mettere in ombra ogni altra pubblicazione machiavellica. Nella sua carriera, Machiavelli ha pubblicato molte opere in cui è chiaro che preferisce una repubblica piuttosto che un principato, ¨so serious a stumbling block. The notion that this little book was meant as a serious, scientific treatise on government contradicts everything we know about Machiavelli’s life, his writings, and about the history of his time. ¨ (484). In Il Principe s’apprezza come Machiavelli mette in mostra la questione italiana, che non è poi così diversa dall’epoca di Dante, dove c’è una Firenze costantemente tirata in due direzioni diverse da guelfi e ghibellini allo stesso tempo. Al tempo di Machiavelli, quasi duecento anni dopo, l’Italia è ancora afflitta da fazioni rivali, il papato, gli spagnoli nel sud ei francesi nel nord. Gli esempi che Machiavelli mette in evidenza nel Principe sono tratti dal periodo classico e dalla sua epoca contemporanea. In un momento in cui essere eccessivamente etici di solito ti vede intrappolato negli affari di qualcun altro. Lui lascia da parte le solite battute moralistiche su come un re dovrebbe comportarsi, e va dritto al punto come afferma nella sua dedica a Lorenzo il Magnifico ¨La quale opera io non ho onorata né ripiena di clausule ample o di parole ampullose e magnifiche, o di qualunque altro lenocinio o ornamento estrinseco con il qualei molti sogliono le loro cose descrivere et ornare; perché io ho voluto, o che veruna cosa la onori, o che soltanto la verità della materia e la gravità del subietto la facci grata.¨ (5) Fu Johan Gottfried Herder a dichiarare Il Principe né una satira né una guida iniqua per lo studio della politica. Machiavelli offre una visione oggettiva della politica italiana del cinquecento, fornita da un patriota al servizio del suo paese, che fece per facilitare il destino dell’unificazione italiana. (483).
Un tema ricorrente in tutto Il Principe è l’idea che uno stato forte otterrà senza dubbio il rispetto dei suoi vicini. Questo fatto vale in ambito regionale, nel senso che sono pilastri di forza tra le altre città-stato, e su scala internazionale tenendo duro contro la costante presenza spagnola e francese. Dando un’altra occhiata alla storia di Firenze fino a quel momento, ebbero sempre difficoltà a mantenere detto rispetto nella loro regione a causa dell’abbandono della loro forza militare, che in passato ebbe le sue conseguenze. Durante il suo periodo nella seconda cancelleria, Machiavelli ha sollevato il punto ¨Other people learn from the perils of their neighbors, you will not even learn from your own or trust yourselves, nor recognize the time you are losing and have lost. I tell you fortune will not alter the sentence it has pronounced unless you alter your behavior.¨ (485). In questo caso, Machiavelli sembra implorare con insistenza Firenze di imparare dai suoi errori passati mentre era in una repubblica in modo che la città-stato aiutasse a guidare l’Italia nel suo destino d’unificazione. Il sogno di uno stato italiano unificato è sempre stato l’obiettivo di Machiavelli e in questo senso trattare la situazione con ingenuità non era più un’opzione sostenibile.
A differenza del suo predecessore omonimo, Machiavelli dedica Il Principe all’attuale Lorenzo de’ Medici, che aveva meno esperienza nella guida di una città-stato. Aggiungendo l’idea che Machiavelli preferisca una repubblica al principato, sono propenso a pensare che questo libro intenda aiutare Lorenzo tanto quanto espone prematuramente al popolo fiorentino le possibili intenzioni del nuovo principe. Mattingly afferma che Machiavelli ¨was delicately aware of the tastes and probable reactions of his public. No one could have written that magnificent satiric soliloquy on Fra Timotheo in Mandragola, for instance, who had not an instinctive feeling for the response of an audience. ¨ (486). In questo senso Machiavelli scrive aspettandosi la reazione dei suoi lettori. Si può dedurre che scrive con l’intenzione di esporre ogni possibile azione che Lorenzo potrebbe intraprendere, facendo sapere al suo pubblico quale di queste azioni deve essere consentita e quale dovrebbe causare ulteriori indagini. Se questo nuovo principe dovesse intraprendere azioni che assicurino la stabilità fiorentina, dovrebbe essere consentito poiché ciò alla fine assicurerebbe il destino dell’unificazione italiana. Ma nella strana possibilità che Lorenzo abusi del suo potere nei molti modi mostrati in questo manuale, il popolo saprebbe esattamente quali sarebbero i segni rivelatori, e quindi ha anche gli strumenti adeguati per la loro difesa tanto quanto Lorenzo.
Per concludere, è insondabile che una mente come quella di Machiavelli sarebbe stata su un unico filo di pensiero quando scriveva Il principe. A mio avviso è più facile accettare un libro che affronti molteplici sfaccettature della realtà italiana del suo tempo, ovvero: l’Italia che è governata da città-stato dove le loro famiglie comandanti gestiscono gli stati come tiranni, rivelando come questi aristocratici arrivano al potere alla gente comune, e allo stesso tempo mettendo in fuoco la soluzione alle pretese apparentemente infinite che francesi e spagnoli hanno sulla penisola italiana.

Fonti:

Mattingly, Garrett. “Machiavelli’s ‘Prince’: Political Science or Political Satire?” The American Scholar, vol. 27, no. 4, The Phi Beta Kappa Society, 1958, pp. 482–91, http://www.jstor.org/stable/41208453.


Machiavelli, Niccolò. ¨Il Principe¨, Ali Ribelli Edizioni 2020.

Pericoli dell´Estremismo

Niccolò Macchiavelli, Santi di Tito

Penso che sbagliamo nel giudicare Machiavelli come l’estremista immorale che conosciamo. Dopo aver fatto parte della Seconda Signoria di Firenze come consigliere, ha solo approfondito la sua comprensione di come funziona la politica. Nella maggior parte dei casi, Machiavelli offre consigli realistici su come un leader dovrebbe agire e pensare. La crudezza dell’esempio nel confrontare Oliverotto da Fermo e Agatocle di Siracusa mostra una certa mancanza di empatia per la vita umana. In tutta onestà, in nessun punto Machiavelli invoca la violenza; si limita a presentare che è comunemente noto che il modo più efficace per conquistare uno stato passa attraverso la violenza necessaria. Gli esempi nel capitolo 8 mostrano il sorpasso attraverso l’inganno. Solo una cosa li separa l’uno dall’altro, l’uso corretto e l’uso scorretto della violenza. Oliverotto, come Agatocle, inganna i capi di stato e li uccide. Questa prima mossa è quella che Machiavelli chiama violenza necessaria. Oliverotto abusa della violenza perché continua i suoi atti violenti e alla fine viene ucciso da Cesare Borgia. D’altra parte, Agatocle governò con successo Siracusa molto tempo dopo aver comandato l’omicidio del senato siracusano perché si era astenuto dal commettere atti inutili. Oliverotto diventa così l’esito negativo se un principe usa misure estreme per troppo tempo o troppo spesso.

Le Sante: La Guaritrice e La Guerriera

Caterina da Siena è una figura che causa molta intriga. Nella sua lettera al Papa Gregorio XI la Santa fa molte richieste. Una delle più evidenti è stata la richiesta del ritorno del Papa a Roma da Avignone. Cosa che alla fine fa il Papa. Il misticismo e il conseguente seguito che la circondava da giovane è forse un forte motivo per cui Caterina da Siena si sente così privilegiata a fare richieste del genere ad una figura così importante come il Papa. Un comportamento volitivo completamente al di là delle aspettative di una donna dell´epoca. Leggendo la sua lettera a Gregorio XI non si può fare meno che ricordarsi d´un altra santa, pero una d´aspetto guerriero cioè Giovanna d´Arco. Come Caterina da Siena anche Giovanna d´Arco scrisse colui che poi sarebbe diventato re di Francia, Carlo VII, chiedendo azione contro la minaccia inglese a Orleans, suppliche che il re ascolta e la manda in battagli contro gli inglesi. Molto simile c´è il fatto che tutte e due le sante avevano visioni e sembrava che avessero un rapporto speciale con Dio; la differenza principale tra di loro è che Caterina da Siena è una santa guaritrice e Giovanna d´Arco è una santa guerriera.

Desiderio, Inganno e Fortuna

Bibliothèque de l’Arsenal, Paris
Illustration from a French edition of The Decameron, fifteenth century

Desiderio, inganno e fortuna sono tre temi ricorrenti nel Decameron di Giovanni Boccaccio. Questi tre temi diventano sempre più evidenti quando compaiono in storie improbabili sui monaci in I-4. L’articolo di Marga Cottino-Jones, Desire and the Fantastic in the Decameron: The Third Day, pubblicato nel 1993 dall’American Association of Teachers of Italian, spiega che Boccaccio intende sfidare il modo moralmente imposto in cui vengono viste determinate figure della società. Come bussole morali, ci si aspetta che i monaci diano l’esempio di purezza; proprio per questo Boccaccio li usa come soggetti perfetti per mostrare che le persone soccomberanno alla loro natura umana quando i loro desideri saranno spinti a limiti straordinari.
Il primo giorno di narrazione, Dioneo intrattiene il gruppo con la quarta storia di un monaco e un abate che vivevano in un monastero appartato. Qui Boccaccio allude ai dettagli specifici della posizione del monastero, creando una cornice per rendere possibile un evento improbabile. Un giorno un monaco, giovane e virile, nota una giovane ragazza che raccoglieva delle erbe nei loro campi, ed è subito colpito da una passione sensuale e desiderio carnale per la ragazza. Qui si può apprezzare come i suoi impulsi curiosi e naturali confrontano la castità del monaco. Dopo un po’ di conversazione, rendendosi conto che la ragazza era ben disposta alle sue avances, il monaco la porta di nascosto nella sua camera mentre gli altri dormivano. Ad un certo punto un abate si sveglia e si rende conto di ciò che sta succedendo all’interno della camera del giovane monaco. Allo stesso tempo, Il monaco è consapevole che l’abate lo aveva scoperto e lascia la ragazza nella sua stanza con la scusa che deve finire il suo lavoro e la rinchiude nella sua stanza per non essere scoperti. Poi dà la chiave all’abate che li aveva trovati. Quando l’abate entra nella stanza del monaco e vede la giovane, anche lui è tentato dalla giovane. Dopo aver preparato la sua trappola, il giovane monaco attende che l’abate cada vittima dei suoi desideri carnali. Una volta che l’abate esce dalla stanza del monaco, il monaco decide di tornare. A quel punto torna, l’abate lo affronta su ciò che ha trovato nella sua stanza. Il monaco risponde che è nel monastero da poco tempo e che non ha ancora appreso tutti gli insegnamenti. Tuttavia, ora che ha visto esattamente come l’abate gestisce una situazione del genere, sa come agirci se dovesse accadere di nuovo. Rendendosi conto che il monaco era consapevole della sua perversità con la donna, l’abate ritiene inopportuno castigare il monaco per lo stesso errore che lui stesso ha commesso. Lo perdona, e insieme scortano la giovane donna fuori dal monastero ma continuerà a visitarli. Alla fine della storia, la fortuna premia le malefatte del monaco e del suo complice (l’abate) permettendoli di continuare con i suoi impulsi naturali.

Desire and the Fantastic in the Decameron: The Third Day

https://www-jstor-org.ccny-proxy1.libr.ccny.cuny.edu/stable/479985?Search=yes&resultItemClick=true&searchText=desire+the+decameron+iii%2C+9&searchUri=%2Faction%2FdoBasicSearch%3FQuery%3Ddesire%2Bthe%2Bdecameron%2Biii%252C%2B9%26so%3Drel&ab_segments=0%2Fbasic_search_gsv2%2Fcontrol&refreqid=fastly-default%3A9f84f139219efe03b9c41542b2ef8913&seq=1#metadata_info_tab_contents

Il Sorgue: Il Fiume dell’Amore; Canzone 126:

¨Chiare, fresche et dolci acque ove le belle membra pose colei che sola a me par donna¨

Laura incorona Petrarca (Biblioteca Medicea Laurenziana, Ashb 1263, Firenze)


Nel tipico tono d’uomo moribondo a causa dell’amore che Petrarca sente per Laura avvia l´inizio della canzone 126 del Canzoniere la quale è compresa da cinque strofe ed un congedo.

La prima strofa, è piena di metafore dove il Poeta invoca l’attenzione dell’acqua del fiume, Le Sorgue, del ramo, dell’erba, dei fiori e dell’aria che lo circonda ad ascoltarlo giacché in questo luogo beato fu dove il poeta ha visto la sua cara Laura nuda per la prima volta. Sembra come se la natura stessa diventa una cosa viva a causa dell’amore che Laura ha per questo luogo. Allo stesso tempo, questo posto così vivo per Petrarca diventa il posto scelto da lui come un rifugio oppure letto di morte. Diverso dagli altri poemi nel Canzoniere, questo poema non ci dà nessun indizio che la causa della sua morte imminente sia la vecchiaia, se non l’Amore stesso che qui viene personificato, il quale sembra li aprisse e chiudesse gli occhi.
Nella seconda strofa, questo stesso Amore viene invocato dal Poeta, e gli supplica la morte proprio in quel posto così amato da lui e Laura. È curioso che la natura che circonda il Sorgues si ravvivi semplicemente entrando in contatto con Laura. L’amore che Laura ha per questo posto lo rende vivo. In un’altra dose ironica del poeta, l’amore che lui sente per Laura sembra causare la sua morte invece che il rinascimento. È per questa ragione che il Poeta ritorna a questo posto, non così tanto perché sia un rifugio dalla vita sociale ma perché è il posto dove ha avuto un incontro con Laura. E se lui non può godere un amore reciproco dalla sua amata, il poeta le basta essere sepolto nel luogo amato da lei.
Nel congedo, Petrarca parla direttamente alla sua canzone. Le dice che è libera di andare altrove se i suoi desideri sono stati soddisfatti. È facile supporre che i desideri di Petrarca per Laura non siano stati soddisfatti ancora perché continua il suo pellegrinaggio al suo rifugio ed è qui che desidera essere sepolto.

La Macabra Punizione di Ugolino

Gustave Doré´s Ugolino and Ruggieri

Ugolino della Gherardesca viene punito insieme all’arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini nell’Antenora, la seconda parte del cerchio nono. Qui vengono puniti i traditori della patria. Ugolino, che sta mordendo la testa di Ruggieri, si ferma dal suo macabro pasto e si pulisce la bocca con i capelli della sua vittima prima di divulgare la sua tragica storia. È morto affamato insieme ai suoi giovani figli a causa del tradimento da parte dall’arcivescovo Ruggieri. Il fatto che Dante ci presenta i figli di Ugolino come ragazzi assai giovane può essere deliberato per sottolineare due vittime innocenti nel conflitto e che tanto Ugolino come Ruggieri sono disposti a sacrificarli per ottenere vantaggi politici. Nel caso di Ugolino, specificamente, il suo successo nella politica diventa più grande e importante che il suo proprio amore per la sua famiglia e che lo parta a tradire gli stessi.(XXXIII, 1-71) A questo punto nella vicenda di Ugolino viene il silenzioso indizio della sua punizione. Ugolino fu dichiarato il gran traditore di Pisa. Partito dalla sua patria come ghibellino poi tornato come guelfo, Ugolino sembra di aver tradito i suoi compaesani dopo l’acquisizione di Pisa. Quando, secondo le note dell’Inferno nell’edizione di Robert M. Durling, Ronald L. Martinez, Robert Turner, al suo ritorno a Pisa, Ugolino trama la detronizzazione del suo proprio nipote, Nino Visconti, e cercò un’alleanza con Ruggieri. In questa prima parte si può capire che Dante mette a Ugolino al nono cerchio per il suo tradimento al suo partito (i ghibellini) e allo stesso tempo si capisce perché Ruggieri viene inserito qui insieme a lui. Però resta ancora la questione del cannibalismo. Allora, Ugolino è tradito da Ruggieri e viene imprigionato nella Torre della Muda insieme ai suoi figli. Dopo nove mesi di prigionia, i figli muoiono uno dopo l’altro alla fine solo il conte rimane vivo. Ugolino, cieco a causa dalla fame, rantola sopra i cadaveri dei figli per due giorni (XXXIII, 72 – 74). ¨Poscia, più che ´l dolor, poté ´l digiuno. (XXXIII, 75) Ed ecco qui la linea che magari ci rivela ciò che accade quando solo Ugolino rimane in vita. Sembra che Ugolino ci stia proprio ammettendo che in quei ultimi giorni la sua fame abbia avuto più forza che il proprio dolore d’aver perso i suoi figli. Detto questo ed insieme alla maniera in cui Ugolino sta mangiando la testa di Ruggieri sembra che il conte, nei suoi ultimi attimi, abbia risolto al cannibalismo di modo che possa allungare la sua vita. Questo è proprio indicativo del contrappasso che Dante gli attribuisce, come in vita il conte s´ha mangiato i propri figli ora nel inferno lui passa la sua eternità divorando al responsabile della sua sfortuna.

Beatrice: She Who Gives Blessings

Virgil and Beatrice, Gustave Doré

In the first canto of Dante´s Inferno, Dante, the protagonist, is presented to the reader trying to find his way through dark woods searching for the mountain of Purgatory. The mountains should lead him to Heaven, but three ferocious beasts block his path; a leopard, a lion, and a she-wolf causing Dante to cower and retreat into the woods, and so appears Virgil offering Dante an alternate route to Purgatory through the Underworld.

In the second canto, Dante asks Virgil if he deems him strong enough to undertake such a venture full of pity and misery (Canto 2: 31-36). To this, Virgil replies that Dante´s soul is wounded by cowardice. Virgil also reveals that he was presented with the task of delivering Dante from his fears by a divine lady. (Canto 2: 44-51)

¨I was among those who are suspended, 

and a lady called me, so blessed and beautiful that

 I begged her to command me.¨ (Canto 2: 52-54) 

The lady Virgil speaks of is Beatrice. A woman who Dante had loved since his childhood and who died prematurely.“My friend, not the friend of fortune, on the deserted shore is so blocked…”( Canto 2: 61-62) In these lines, Dante also hints at the fact that Beatrice also cared more for him, she admits her interference in remedying Dante´s misfortunes rather than letting him suffer through his fate.

Dante describes her eyes as ¨shinning brighter than the morning star¨ (Canto 2: 55-56). 

The morning star is usually indicative of the planet Venus which is mostly at its brightest just before dawn and can be associated with the Roman goddess of love (Britannica https://www.britannica.com/topic/Venus-goddess); but the fact that Dante refers to her eyes as ¨shining brighter than the morning sun¨ presents Beatrice (she who bestows blessings) as being more blessed than Satan himself as he is also associated with the morning star ¨Lucifer, (Latin: Lightbearer) … the morning star (i.e., the planet Venus at dawn); personified as a male figure bearing a torch, Lucifer had almost no legend, but in poetry, he was often herald of the dawn.¨ (Britannica https://www.britannica.com/topic/Lucifer-classical-mythology). Beatrice continues to speak to Virgil, stating that love has caused her to seek him to help the now lost Dante.

Thus Beatrice personifies love as a whole. She descended from the heavens to seek Virgil in hell without fear because she is blessed/ protected by her faith (love for God), and thus, the love Dante bears for her creates a chain of protection that will see Dante through his journey through the underworld. The love he has for Beatrice is his salvation.  

Gianni, Hotchi, Karla